mercoledì 29 dicembre 2010

Mio Dio, come siamo caduti in basso..


Cari Amici,



deontologia, ecchi se ne frega? Parlo della deontologia professionale di ogni giornalista che si rispetti. Sembra sparita dalla faccia d'Italia. Mi spiego: quando fui assunto da Eugenio Scalfari nel 1974 a l'Espresso, il primo requisito di Barbapapà, così lo chiamavano, fu che io praticassi rigidamente il controllo incrociato delle fonti. Se 'A' racconta qualcosa di Tizio e non è in grado di dimostrare la verità di quanto asserisce con documenti, il bravo giornalista o va da Tizio e chiede riscontro oppure va da 'B', 'C'. 'D' e tutto l'alfabeto sino a quando non trova qualcuno che gli conferma il racconto di 'A'. Mi diceva Scalfari: se non lo fai non solo ti sputtani professionalmente ma alla casa editrice del giornale i querelanti mangiano le rotative.

Alla Stampa di Torino dove ho lavorato 4 anni erano talmente ligi alla verità (anche se a Torino la soprannominavano la Bugiarda) che a volte il direttore preferiva rinviare un mio scoop per timore di sbagliare. 'Bogia nen', mi diceva. In 35 an ni di attività le mie fonti mi hanno raccontato di tutto, avrò scritto il 10 per cento delle loro rivelazioni, ho perso qualche scoop ma non mi pento. E anche i miei colleghi di un tempo seguivano le stesse regole.

Tutto questo per spiegare che inorridisco professionalmente di fronte alle giustificazioni che Maurizio Belpietro ha dato sul suo scoop relativo al presunto attentato a Fini. Qui la volontà di calunniare è precisa, non c'è stato alcun controllo incrociato delle fonti, solo il desiderio di infangare.

Mio Dio, come siamo caduti in basso.



Un caro saluto

                                Gianfranco

 


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