venerdì 28 maggio 2010

Una storia di oggi/2

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A Lugano, anzi, a Chiasso (perchè il conto lo ho aperto la prima volta in quel porto di mare che è il posto di frontiera) ci sono arrivato per aver incontrato due persone che in un modo e nell'altro hanno segnato la mia vita.

Vi parlerò prima di Marco, bello come un dio greco, di nobili lombi: il padre, di origine pavese, era stato imprenditore nel comparto delle macchine utensili e quindi Marco era figlio d'arte, almeno così lo definiva il mio amministratore delegato. Era stato mio collega di lavoro, lo avevo trovato in azienda quando fui assunto nel 1971. Marco era intelligente, preparato, ma alternava momenti di allegria e humor irresistibili a periodi di down terribili:  non apriva bocca per giorni, non ti guardava, al massimo volavano parolacce e cattiverie. Da questi down Marco usciva, e questo me lo raccontò quando entrai in confidenza con lui, grazie al gioco d'azzardo. Fu lui ad introdurmi nel mondo della roulette, portandomi a Campione e Montecarlo. Orfanelli, vicini, cavalli, manque e passe per me non significavano nulla sino a quel momento, in compagnia di Marco al tavolo verde questi numeri e queste serie acquistavano una vita propria, stimolavano la fantasia, eccitavano i sensi. Marco mi rivelò una volta che giocava d'azzardo per uscire da quel pendolo oscillante tra il dolore e la noia (mi pare fosse Schopenauer l'ideatore di questa visione della vita umana) che lo faceva star male. Non so se Marco avesse ragione, io  sono fatto di un altra pasta: ho giocato forte per alcuni anni della mia vita e poi mi sono a poco allontanato dal tavolo verde. Marco no, è rimasto legato alla sua droga ludica sino alla fine, se n'è andato a 50 anni per un tumore al cervello. Negli ultimi tempi non andava più a Campione per non incontrare gli strozzini cui doveva diverse decine di milioni.

Quando ancora giocavo forte una sera a Las Vegas ebbi una botta incredibile di lato B: uscì dall'Aladin con 31.000 dollari netti di vincita dopo aver sfruttato combinazioni impossibili di orfanelli e vicini.

Al ritorno, sull'aereo che mi portava a Zurigo, trovai al mio fianco un americano della mia stessa età, pelatissimo come Yul Brinner,che parlava perfettamente l'italiano, e credo altre sei-sette lingue. Si chiamava Wallace, fu lui a portami a Chiasso.




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