martedì 27 aprile 2010

China Town

Cari Amici,


ieri, dopo tanto tempo,  mi trovavo a passare per Via Paolo Sarpi, cuore della China Town milanese. Dovete sapere che pur essendo nato in Piazza Santo Stefano, all'ombra della Madonnina, ho trascorso i primi anni venti ndella mia vita proprio in Paolo Sarpi. C'erano cinesi tra i miei compagni di scuola, ho anche avuto una giovanile relazione affettuosa (più che altro sguardi) con una cinesina di Via Niccolini. Ma allora i cinesi erano pochi, vendevano cravatte (3 clavatte mille lile) e borse di cuoio e plastica che le commesse cucivano nel retrobottega quando non c'erano clienti. La promiscuità tra gli abitanti del Burg di Scigulat (il borgo dei coltivatori di cipolle, come veniva chiamata nel Medio Evo quella zona) e i figli del celeste Impero era discreta e non dava adito a contrasti.

Ieri proprio non mi sono ritrovato: negozi ovunque, con scritte in mandarino, italiano e inglese, che vendono di tutto, elettronica, alimentari, tessili, giochi e  le solite borse, e poi bar e ristoranti, sale da gioco, saloni di bellezza (bordelli mi dicono gli amici sopravvissuti), centro telefonici e di trasferimenti di danaro, parrucchieri. E non ci sono soltanto i cinesi, ma abbondano anche neri, arabi, sud americani, slavi. Per strada non sento più parlare il mio dialetto, soltanto lingue esotiche. Ad un certo momento mi sono fermato, ero letteralmente frastornato,  e ad un signore distinto che passava accanto a me ho detto 'Me sun perdu, me trovi pu'. Mi ha risposto con cortesia, l'era un 'terun': quasi quasi lo abbracciavo.


                              Gianfranco

1 commento:

  1. Caro Gianfranco,

    ho provato lo stesso smarrimento...al contrario. Una ventina d'anni orsono, un tardo pomeriggio di settembre, esco dal Duomo per dirigermi verso la metrò.
    Scapicollo e precipito sul selciato rovinosamente: non mi faccio niente ma il viso è una maschera di sangue, dal naso, dalla bocca, gli oggetti della borsa sparsi dappertutto, occhiali rotti, ecc.. di fianco mi passano due vigili indifferenti, sui gradini crocchi di italiani che parlottano e continuano tranquilamente. Si avvicina solo un ragazzo, indiano, che mi aiuta, mi accompagna in farmacia sotto i portici, mi accompagna alla fermata del taxi (condotto da un italiano) che solo sotto minaccia accetta di portarmi al pronto soccorso.
    Mi chiedo: è peggio sentirsi straniero tra stranieri o straniero tra patrioti?
    Milano è irriconoscibile, il cuore non è più in mano, sta nelle ampolle dei celti "nostrani", annegato nel pagano dio Pò.

    buona giornata, gabriella

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